di Don Marcello Stanzione
Giovanni Bosco, figlio di poveri contadini, nato a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815, a vent’anni decise di entrare, come esterno, in seminario. Dovendo pagare la pensione mensile, Giovanni dovette lavorare molto. Infatti, tutte le sere era impegnato, dovendo fare l’aiutante in ogni sorta di mestiere, accogliendo le occasioni opportune pur di raggranellare qualche soldo per coprire le spese di vitto e alloggio. Nelle domeniche e nei giorni festivi egli si dedicava ai giovani. Per loro fondò la “Società dell’allegria”, chiaro preludio della fondazione dell’Oratorio, ponendo le basi di uno dei cardini del suo sistema educativo, ossia la creazione di un ambiente di ritrovo e di gioia.
Ordinato sacerdote, intuì la propria vocazione all’apostolato della gioventù visitando un gruppo di giovani carcerati. Da quel giorno impegnò ogni sua energia a realizzare qualcosa per evitare che tanti giovani si perdessero su strade sbagliate. Il dinamico sacerdote cominciò a raccogliere attorno a sé i ragazzi di strada, adattandosi al loro modo di vita rumoroso e allegro, attirandosi il malcontento del vicinato. Per la sua azione ebbe contro non solo i cattolici liberali, ma anche gli intransigenti che sapevano solo rimpiangere il lontano passato. Dotato di una memoria formidabile e di un’inossidabile volontà, diventò l’idolo dei giovani e un vero trascinatore. Il suo carisma esercitò un grande fascino in molti giovani, che lo aiutarono nel suo apostolato e più tardi fondò il noto Istituto Religioso dei Salesiani e delle Salesiane, ai quali infuse il suo spirito di amore e dedizione per l’educazione dei giovani.
Ai suoi discepoli, specialmente quelli in partenza per le missioni ripeteva: “Ci vogliono predicatori, ci vogliono professori per le scuole, ci vogliono cantanti e suonatori, perché là si ama tanto la musica”. E aggiungeva: “Andate, voi troverete ovunque un numero grandissimo di fanciulli o anche di adulti che vivono nella più deplorevole ignoranza… cercate questi vostri fratelli, la cui miseria o sventura in terra è grande, e adoperatevi per far loro conoscere quanto sia grande la misericordia di Dio”. Incontrò numerosi contrasti e incomprensioni. Ma non si scoraggiò, tanto che l’8 dicembre 1841 diede inizio ufficialmente all’Oratorio.
Molti furono coloro che lo avversarono, dalla polizia ai benpensanti; decisivo fu il sostengo dell’Arcivescovo di Torino, che approvò l’Oratorio definendolo “la parrocchia della gioventù senza parrocchia”. L’Oratorio nacque dalla compassione di Giovanni Bosco per un intera generazione di giovani che cresceva degradata abbrutita, illusa, svuotata e cinica, che cresceva senza conoscere Cristo. A chi gli chiedeva le coordinate del suo metodo educativo, rispondeva con tre parole: Ragione, Religione e Amorevolezza.
Grande educatore , istituì scuole, laboratori artigianali, collegi e in tutto impegnò la Congregazione religiosa da lui fondata, che perpetuerà nel tempo la sua opera. E’ l’iniziatore delle prima scuole professionali, dalle quali, dovevano uscire non tanto uomini colti, ma operai onesti e capaci.
Il prete ha giocato anche un ruolo politico sorprendente nell’Italia del suo tempo. Lo stesso pontefice, Pio IX, gli aveva affidato addirittura il ruolo di suo rappresentante segreto nei confronti del nuovo Stato invasore e laicista che in quegli anni aveva incarcerato sacerdoti, vescovi e cardinali, aggredito la Chiesa in ogni modo, soppresso gli ordini religiosi e incamerato i loro beni. Tutto avvenne per opera delle società segrete, storicamente conosciute sotto il nome di Carbonari, Franchi, Muratori, Giacobini e Illuminati, nomi diversi di gruppi appartenenti allo stesso movimento che mirava a sovvertire l’ordine sociale puntando a schiantare la Chiesa. Egli non si limitò a denunciare la prepotenza del potere laicista, ma si adoperò per strappare palmo a palmo allo Stato spazi di libertà per la Chiesa e per le sue opere. Per volere di Papa Pio IX inaugurò a Roma, nel 1887, la Basilica del Sacro Cuore, nelle vicinanze della Stazione ferroviaria di Termini. Quando don Bosco vide che anche quel suo sogno si era avverato pianse di gioia. Colui che amava definirsi il “prete nella casa del povero come nel palazzo del re”, si spense. Era il 31 gennaio 1888.
Nel corso della sua complessa e ricchissima esperienza mistica, Don Bosco dimostrò spesso molta attenzione per gli angeli custodi, cercando di inculcarne la devozione tra i tanti giovani che gli vivevano accanto ogni giorno. Da novello sacerdote volle celebrare la sua prima Messa proprio all’Altare dell’angelo custode. “Ravvivate la fede nell’angelo custode – diceva spesso – che è con voi ovunque siate. Santa Francesca Romana se lo vedeva sempre davanti con le mani incrociate sul petto e gli occhi rivolti al Cielo; ma per ogni sua anche più piccola mancanza, l’angelo si copriva come per vergogna il volto e talora le voltava le spalle”. Il 31 agosto 1844, la moglie dell’ambasciatore del Portogallo fu avvertita da Don Bosco di fare molta attenzione perché un nuovo episodio di chiaroveggenza era stato messaggero di inquietanti premonizioni. “Lei signora, oggi ha da viaggiare – disse alla donna – si raccomandi molto al suo angelo custode perché l’assista e non abbia a spaventarsi del fatto che le accadrà”. La signora fu un po’ impaurita, ma non diede molta importanza all’avvenimento. Partì in carrozza con la figlia e la domestica, ma durante il viaggio i cavalli si imbizzarrirono senza che il cocchiere fosse in grado di fermarli: la carrozza rischiava così di ribaltarsi con danni forse irreparabili per le persone. Benché spaventata la donna ricordò quanto le aveva detto Don Bosco e invocò il proprio angelo custode perché l’aiutasse: immediatamente i cavalli si ammansirono e il viaggio riprese senza interruzioni concludendosi serenamente.
Uno tra gli episodi più singolari che costituiscono il notevole corpo di fatti miracolosi che hanno accompagnato Don Bosco riguarda la vicenda del cane nero che appariva quando il santo era in pericolo e allontanava i malintenzionati con il suo aspetto certamente poco rassicurante. Infatti, Don Bosco fu oggetto di attentati orditi da chi voleva fermare la sua grande opera. Ogni qualvolta qualcuno lo aggrediva o cercava di ucciderlo, il cane appariva dal nulla e allontanava gli aggressori. Don Bosco chiamò quel cane Giorgio e sostenne che sotto le spoglie dell’animale si celava il suo angelo custode. Per oltre trent’anni gli fu accanto, salvandolo dai pericoli o mettendolo in guardia quando si approssimava qualche rischio. L’angelo custode ebbe senza dubbio un modo insolito per manifestarsi, ma le celesti creature sanno comunicare con gli uomini attraverso strade spesso “strane”, anche misteriose, ma sempre in grado di cogliere nel segno.
Consapevole dell’importanza degli angeli custodi, Don Bosco si soffermò in più occasioni su questi esseri di puro spirito, cercando di diffonderne la devozione. Durante un’omelia parlò dell’angelo custode ai suoi giovani, esortandoli a invocare l’aiuto del loro compagno celeste ogni volta che si fossero trovati in difficoltà. Uno di questi giovani, pochi giorni dopo, mentre lavorava in un cantiere, fu coinvolto in grave incidente: l’impalcatura sulla quale si trovava crollò rovinosamente al suolo. Tutti i muratori che erano sopra morirono; solo il giovane fedele rimase illeso dopo aver esclamato: “Angelo mio, aiutami!”. Il suo angelo custode gli aveva salvato la vita. Tra i tanti opuscoli che don Bosco compose e stampò c’è anche “ Il devoto dell’Angelo Custode” dove il santo piemontese scrive: “ Un argomento che mostra l’eccellenza dell’uomo è certamente il fatto che egli ha un Angelo per custode. Creato che ebbe Iddio il cielo, la terra e tutte le cose che nel cielo e nella terra si contengono, lasciò che esse seguissero per loro conto il corso delle leggi naturali secondo l’ordine della quotidiana provvidenza che le conserva. Dell’uomo non fu così. Oltre ad averlo arricchito di nobili facoltà sia spirituali che corporali, costituito a provvedere a tutte le altre creature, volle che un celeste spirito se ne prendesse cura. Così, fin dal primo istante che l’uomo compare al mondo, egli l’assiste notte e giorno. Lo accompagna nel viaggio lungo le strade; lo difende dai pericoli sia dell’anima che del corpo, l’avvisa di ciò che è bene perché lo segua. Grande dignità dell’uomo, grande bontà di Dio, incalzante dovere per noi di corrispondervi!”. Il pensiero dell’Angelo custode era così familiare a don Bosco che un giorno, udendo un coro di operai che cantavano i loro stornelli ben ritmati, li imparò subito e ne scrisse le note. Poi chiese a Silvio Pellico di comporgli alcuni versi che fossero che fossero una piacevole invocazione all’Angelo Custode. Il poeta accettò e ne venne una popolarissima canzone che coinvolgeva i giovani.
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