di Carla D’Agostino Ungaretti
Tutte le famiglie felici si somigliano;
ogni famiglia infelice è invece
disgraziata a modo suo. .
Lev Tolstoj, Anna Karenina
La vostra amica Carla – forse perché si sente una cattolica “bambina”, o forse perché nonostante l’età non più molto verde ha conservato, come dicono i suoi familiari, un’ingenuità fanciullesca – prova sempre un grande dolore quando sente parlare di separazioni coniugali e di divorzi provocati da incompatibilità di caratteri o, peggio ancora, da adulterio perché è infinitamente grata a Dio per uno dei più bei doni che Egli ha voluto fare all’umanità: l’amore tra l’uomo e la donna da Lui benedetto e reso santo nel Sacramento del Matrimonio.
Perciò, quando sente certe tristi storie le torna in mente l’incipit del romanzo Anna Karenina di Leone Tolstoj che, nonostante sia stato scritto 150 anni fa, è di un’attualità sorprendente. La famiglia infelice cui alludeva Tolstoj era quella del fratello della protagonista, Stefano Oblonski, il quale – di indole non cattiva, ma immatura e superficiale, come tanti uomini e donne in ogni tempo e in ogni paese – si era concesso una scappatella con la governante francese dei suoi figli (<<chissà perché >>si domanda la vostra amica << alle donne francesi è stato sempre attribuito uno straordinario sex appeal? Mah!…>>) scatenando la giusta ira di sua moglie Dolly che, accortasene, voleva immediatamente cacciarlo di casa, nonostante il (finto) pentimento e la richiesta di perdono di lui e pur sapendo perfettamente che, per il suo gesto anticonformista, sarebbe incorsa nella riprovazione dell’alta società russa di cui la sua famiglia faceva parte.
Niente di nuovo sotto il sole. Quante volte, nella nostra vita quotidiana, abbiamo sentito parlare di storie simili che si sono concluse con separazioni e divorzi? All’epoca del romanzo l’adulterio, anche se frequente (come purtroppo è sempre stato), raramente sfociava nella separazione dei coniugi. Infatti, nei secoli passati e fino a pochi decenni fa, le donne, sposandosi e diventando madri di famiglia, acquistavano uno status sociale inattaccabile, al quale era assai difficile (per non dire inconcepibile) rinunciare volontariamente, come era pronta a fare Dolly, e lo stesso tessuto sociale induceva le mogli alla sopportazione. A rendere così solida la maggior parte dei matrimoni – anche se spesso si trattava di una solidità solo apparente ed esteriore – contribuiva, in parte, l’usanza dei matrimoni combinati che, nella seconda metà del XIX secolo (epoca in cui si svolge il romanzo) non erano rari. Le famiglie più sagge e lungimiranti, supportate in questo dall’approvazione del loro entourage, sceglievano – anche se spesso si limitavano, giustamente, soltanto a proporre – i potenziali coniugi per i loro figli sulla base di elementi di fatto, caratteriali e sociali, che potessero rivelarsi comuni ai due giovani, garantendo una certa armonia nella vita di coppia: si faceva molta attenzione, cioè, a che i promessi sposi avessero la stessa cultura, la stessa educazione, gli stessi gusti, possibilmente lo stesso potenziale economico, e il matrimonio poteva contare su un solido supporto sociale che faceva perdere importanza a ogni possibile infelicità coniugale che potesse insorgere nel corso della vita in comune, rendendo quest’ultima in qualche modo sopportabile.
La vostra amica Carla non intende davvero rimpiangere questa usanza da considerarsi ormai arcaica, ma certamente è un dato di fatto che oggi o non ci si sposa affatto e si convive, oppure ci si sposa con una leggerezza che è del pari difficile approvare, perché confida nella scappatoia del divorzio. Oggi le infelicità coniugali sono le più variegate e complesse che si possa immaginare e veramente “ogni famiglia infelice è disgraziata a modo suo“, perché è notorio che al primo accenno di turbamento o di dissapore, anche banale, la società preme per la separazione, invece di aiutare la coppia a superare le loro divergenze e i coniugi che si presentano davanti al giudice espongono con forza le loro ragioni senza fare il minimo sforzo per cercare di comprendere quelle dell’altro. Oggi si dà molta importanza, forse troppa, agli aspetti emotivi della relazione coniugale, mentre se ne dà poca, forse nessuna, all’aspetto istituzionale del vincolo. Le aspettative reciproche tra coniugi sono molto alte: completa intesa sessuale, capacità di comunicazione, condivisione di svariati aspetti della vita e insieme tutela dei diritti di ciascuno. Ci si aspetta che l’attrazione fatale produca automaticamente armonia e se questo non avviene, e subito, il legame va in frantumi.
Il matrimonio è profondamente svalutato e la vostra amica Carla – che pure è stata lavoratrice – pensa che bisogna avere l’onestà intellettuale e il coraggio di riconoscere che il lavoro femminile è stato una delle prime cause dello sfascio della famiglia, insieme alla maggiore autonomia delle donne che, potendo disporre di un reddito di lavoro proprio e di uno status sociale che non dipende più dal matrimonio, ma dalla prospettiva di una prestigiosa carriera, non accettano più di sottostare a condizioni di vita per loro insoddisfacenti e sono pronte a trovare un nuovo partner. Eppure si continua a insistere sulle cosiddette quote rosa e a disprezzare lo status di casalinga. Che fare in questo clima? Nessuno ha una risposta, se non la consapevolezza che indietro non si torna e bisognerà sperimentare vie nuove, ma a quale prezzo avverrà tutto questo? L’adulterio del marito o della moglie, poi, si rivela sempre – come nel romanzo di Tolstoj – un vulnus difficile da rimarginare e da perdonare.
Negli ultimi 20 anni, inoltre, si è verificato un fenomeno sociale che precedentemente era quasi sconosciuto, anche perché le separazioni erano rare e il divorzio non esisteva: dei 4 milioni di uomini italiani separati, spesso per loro colpa, almeno 800.000, secondo le stime della CARITAS, si sono ridotti in povertà dopo aver lasciato il tetto coniugale. Fra alimenti da corrispondere alla moglie, mutuo, spese legali, uomini con un lavoro più che decoroso si sono trasformati improvvisamente in “nuovi poveri”, tanto che da qualche anno in tutta Italia sono nate strutture di accoglienza per mariti separati. In un’altissima percentuale di casi la separazione pesa con enorme violenza sui mariti, specie se anche padri, perché la “perdita” della moglie comporta anche la “perdita” dei figli e della casa. Può verificarsi un trauma affettivo devastante – come hanno purtroppo rivelato molti recenti fatti di cronaca – che comporta una perdita contestuale di identità: non a caso subito dopo c’è la perdita del lavoro e il progressivo impoverimento.
La vostra amica, che ha una visione cristiana dell’esistenza ed è rimasta molto colpita e addolorata da queste notizie, non vuole certo ergersi a giudice di queste tristi realtà, anche perché esistono notoriamente delle tragiche situazioni limite – come la violenza di certi mariti sulle mogli – delle quali è necessario e doveroso tener conto ma, essendo donna, riesce a calarsi più agevolmente nel mondo mentale femminile e allora, lasciando da parte in questa sede quei casi limite che meriterebbero una trattazione ad hoc, vorrebbe dire a quelle sue sorelle, mogli separate spesso per il tradimento del coniuge:
Questo è, più o meno, quanto dice a Dolly Oblonskaja sua cognata Anna Karenina, per merito della quale la famiglia infelice si ricompatterà, anche se poi toccherà alla povera protagonista del romanzo di Tolstoj cadere nello stesso errore di suo fratello, a dimostrazione del fatto che tutti siamo esposti al peccato e tutti abbiamo bisogno del perdono – tanto è vero che ogni giorno i cristiani chiedono al loro Padre di non indurli in tentazione ma di liberarli dal male – ma, mentre la poveretta era stata capace di porgere al colpevole una mano per aiutarlo a risollevarsi dalla caduta e ottenere il perdono di sua moglie, lei – respinta dal marito, allontanata per sempre da suo figlio, abbandonata dall’amante – non troverà intorno a sé né aiuto né perdono e, nella sua totale solitudine spirituale, correrà verso la sua rovina.
Il dolore incolpevole che si scatena alla scoperta del tradimento è durissimo da accettare e fa capire quanto l’amore sia nato per durare, perché “la carità resta” (1Cor 13) ed essa sola entra nell’eternità. Ciò è tanto più vero perché si può essere infedeli in molti modi e non solo attraverso relazioni extra-coniugali; a volte il lavoro, un hobby, gli amici possono diventare più importanti e prevalere rispetto al rapporto con il coniuge. Dinanzi al tradimento dell’amore, di qualunque tipo sia, l’essere umano percepisce che la fine della relazione distrugge il senso stesso della vita; se l’amore finisce, allora tutto muore e niente ha più significato. Anche l’amore purtroppo può corrompersi e morire perché esiste il male nel cuore dell’uomo, ma può anche rinascere nel mistero della Croce di Cristo e nel perdono.
Perdono: ecco la grande e sconvolgente parola che ci ha insegnato Cristo, semplice e difficilissima al tempo stesso. Il perdono cristiano non si raggiunge in batter di ciglia, spesso bisogna essere spiritualmente preparati all’eventualità di dover perdonare prima o poi, altre volte è necessario per l’offeso un lungo cammino di conversione, ma soprattutto i cristiani devono essere convinti che quello è l’obiettivo da raggiungere, non certo con le loro sole forze, ma con l’aiuto di Dio e con la preghiera costante, diuturna, instancabile e senza perdere la speranza. La famiglia stabile nella sua immobilità e senza tensioni è un solo sogno e l’aspirazione moderna a un rapporto autentico che eviti il formalismo di un legame di sola facciata (come spesso avveniva in passato) richiede una costante autoeducazione e una costante alimentazione del legame in senso sia affettivo che morale. In parole povere: bisogna badare più a ciò che unisce che a ciò che divide. Sembra facile a dirsi ma in realtà tutti sappiamo che la vita quotidiana dei coniugi può diventare noiosa, stressante, ripetitiva e i motivi di attrito possono rivelarsi innumerevoli anche, e soprattutto, quando insorgono divergenze sull’educazione dei figli: ecco quindi la necessità assoluta di imparare a non radicalizzare i contrasti e a perdonare.
Si potrebbe obiettare che questo discorso vale solo per i credenti in Cristo, ma non è del tutto vero. Secondo certe teorie psicologiche, anche chi non ha il dono della fede può avvicinarsi molto al perdono, se prende coscienza dell’inutilità totale dell’odio e del desiderio di rivalsa, se riesce cioè a “depurare“, per così dire, il ricordo dell’evento doloroso che lo ha ferito e che, ovviamente, non può cancellare dalla memoria, di ogni carica emotiva, di ogni ira interiore, di ogni risentimento e di quel desiderio di vendetta che si ritorce sempre contro chi odia finendo per consumare ogni fibra del suo essere. Lo aveva ben capito un cristiano di grande spiritualità come Martin Luther King: <<Perdonare non significa ignorare ciò che è stato fatto contro di noi. Significa piuttosto che quella cattiveria cessa di essere un ostacolo ai rapporti>>.
Certamente i credenti hanno una marcia in più rispetto a coloro che non credono, perché possono confidare nell’aiuto di Dio che non delude mai chi si rivolge a Lui chiedendogli di aiutarlo a fare la Sua volontà. E verso i fratelli che non riescono a perdonare, i cristiani devono escogitare strategie di accoglienza, discernimento, accompagnamento ed educazione perché l’infedeltà di un coniuge rende molto più dolorosa la fedeltà del coniuge innocente ma, in un certo senso, la rende ancora più necessaria. Don Primo Mazzolari diceva: “le infedeltà dell‘amore si perdonano moltiplicando l‘amore“. Fortunatamente, oggi che un’unione su cinque entra in crisi, a Bolzano, Vicenza, Trento e Como alcuni parroci sperimentano percorsi di inserimento nella vita di comunità dei separati; l’obiettivo è quello di inserire ogni persona nel cammino comunitario delle parrocchie.
Ma le separazioni coniugali hanno notoriamente un’altra conseguenza devastante: la sofferenza dei figli, specie se minori, quando vengono usati dai coniugi in disaccordo come arma di ricatto.
Su questa triste situazione la vostra amica rifletterà un’altra volta, se RISCOSSA CRISTIANA sarà d’accordo.
]]>
2 commenti su “CARLA , I MATRIMONI INFELICI E IL PERDONO… – di Carla D'Agostino Ungaretti”
Peccato il perdono spesso non serve, conosco molti/e separati /e fedeli al sacramento del matrimonio, disponibili al perdono, ma gli adulteri raramente decidono di non peccare più cate
Questo mondo è un posto crudele per davvero. Ho sofferto di problemi di matrimonio per 9 mesi senza sapere che la mia migliore amica è stata la causa principale del mio problema.