In gioco c’è un principio: la libertà di insegnamento. Stretta fra le angustie di una politica tanto più pervasiva, quanto meno autorevole sul piano morale e culturale, e le richieste di poteri forti assedianti e manipolanti ogni settore della nostra società, essa pare ormai un particolare poco significativo.
di Clemente Sparaco
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A proposito del progetto di Riforma della scuola
La proposta di riforma della scuola del Governo a guida Renzi (dall’altisonante titolo di “La buona scuola”) include, fra le misure più importanti, un piano straordinario per assumere 100 mila precari entro settembre 2015 e chiudere le graduatorie ad esaurimento. A riforma ultimata si diventerebbe docente di ruolo solo per concorso, come previsto dalla Costituzione. Revisione di stato giuridico e carriera, formazione continua in servizio obbligatoria e “valorizzazione del merito” dovrebbero servire ad innalzare la qualità del servizio scolastico. Maggiori poteri decisionali al Dirigente, unitamente alla definizione di reti di scuola come strumenti di governance e di gestione decentrata dei servizi, servirebbero a rendere più efficace l’autonomia scolastica.
Il bluff della Riforma
Se non ci lascia irretire dallo stile efficace sul piano della promozione pubblicitaria del documento, si scopre più di un bluff.
Ad esempio, la tanto conclamata assunzione dei 100mila precari è un atto dovuto, in quanto la Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per l’illegittima reiterazione dei contratti a termine dei lavoratori della scuola (supplenti plurilaureati e pluriabilitati sono assunti ogni anno a settembre per essere licenziati a giugno!). Il problema è semmai quello delle coperture finanziarie.
Per far fronte a questa carenza, il governo prevede di ricorrere al finanziamento privato. Tuttavia, questo espone la scuola pubblica a pressioni ed interessi privatistici, con la conseguenza di allineare l’insegnamento ad una logica di mercato che inevitabilmente ne snatura il ruolo. Né può essere considerato un caso che per i docenti che confluirebbero nell’organico funzionale (gli ex precari) si prefigurino la mobilità coatta (anche su altre regioni) e l’utilizzo su un numero indefinito di scuole entro la rete assegnata.
Ma l’intervento più fra le righe si nasconde dietro l’ostentato proposito di premiare il merito.
Il governo intende attuarlo sostituendo, alle progressioni di carriera legate all’anzianità di servizio, scatti di stipendio condizionati allo svolgimento di attività aggiuntive, diverse dall’insegnamento (progetti extracurriculari, funzioni obiettivo, collaborazione con la presidenza etc.) e al giudizio formulato dal Capo di Istituto. Pertanto, solo gli insegnanti che matureranno crediti sufficienti in ragione del “contributo al miglioramento della scuola” avranno in busta paga 60 euro netti al mese in più allo scadere del terzo anno.
Il meccanismo è perverso, perché, in tal modo, si fanno pagare buona parte dei costi della riforma allo stesso personale della scuola, personale il cui contratto non è stato più rinnovato dal 2009. La riforma prevede che un terzo dei docenti sia pregiudizialmente escluso dagli scatti stipendiali e, ciò non bastante, che il sistema di progressione economica attuale sia congelato fino al 30 agosto 2015: non verranno attribuiti scatti (né vecchi né nuovi) fino al 1 settembre 2018!
E’ la logica del “lavorare tutti per guadagnare meno“: si bloccano gli stipendi di buona parte dei professori di ruolo, ma si assumono i precari. Ma è anche la logica iniqua del premiare alcuni, per penalizzare altri, del gratificare i docenti “meritevoli” e mortificare gli “immeritevoli“, che coincidono poi con quelli che dedicano tutto il loro impegno alla pratica didattica, alla quotidiana fatica del trasmettere ai giovani esperienze, conoscenze e competenze.
Diversi interessi e diverse spinte sono in gioco.
Ci sono spinte verso una visione manageriale e aziendalistica della scuola. Esse sono rintracciabili nell’ampliamento dei poteri decisionali dei Dirigenti Scolastici, che potranno scegliere, a loro discrezione e senza alcuna tutela dei diritti dei lavoratori, personale e mansioni da assegnare a ciascuno. Ci sono spinte di tipo nepotistico che si insinuano, tanto dietro la possibilità riconosciuta ai Dirigenti di stabilire quali sono i docenti meritevoli e quali no, quanto nella gestione di una formazione obbligatoria, servita spesso nel passato ad assicurare rendite di posizione nel contesto di un sistema sempre più sindacalizzato e politicizzato.
In gioco c’è un principio: la libertà di insegnamento.
Stretta fra le angustie di una politica tanto più pervasiva, quanto meno autorevole sul piano morale e culturale, e le richieste di poteri forti assedianti e manipolanti ogni settore della nostra società, essa pare ormai un particolare poco significativo. Della “libera espressione culturale del docente” (art. 1 del D.Lgs. 297/1994) resta davvero poco. L’autonomia è invocata a livello della gestione del personale, non a livello didattico e culturale.
La buona scuola che fu
Il fatto è che nella scuola di stato l’insegnante è divenuto sempre più un burocrate senza passione e senza cuore. La sua professionalità è stata svilita. La sua preparazione non è stata motivata. La si è considerata parte di un lavoro ordinario e, in fin dei conti, poco significativo. Si sono finanziati invece a pioggia quei progetti che, secondo un mito oleografico, avrebbero aperto la scuola al sociale. Metodi e pratiche non condivisi, nonché privi di qualsiasi riscontro empirico di efficacia, sono stati imposti dall’alto, cosicché lo spazio di libertà nell’insegnamento si è sempre più ristretto.
A fronte di insegnanti sempre meno motivati e frustrati, sono cresciuti alunni indolenti, privi di ogni sana curiosità. Si è abbassato il livello, non tanto e solo sul piano dei contenuti, quanto sul piano educativo, perché la scuola ha smesso di formare la persona, abdicando al suo ruolo di fare scuola. Si è determinato, quindi, una sorta di corto circuito educativo: gli educatori si sono fatti complici degli educandi. Si è sempre più lasciato correre, permesso, garantito. Anche l’ignoranza e l’insipienza sono state garantite. Sono morti il rispetto ed il merito e la responsabilità non è stata più invocata. Scene di ordinaria indisciplina sono divenute consuete e la contestazione è rifluita verso la maleducazione, se non addirittura il bullismo.
8 commenti su “La “squola” di Renzi – di Clemente Sparaco”
Il nostro contatto con il Fronte di liberazione del Sud Sudan in Uganda era il console onorario francese René Dol, attraverso cui inviavamo aiuti umanitari ed altro. Ricordo, che quando fui suo ospite prima di entrare clandestinamente nel Sud Sudan, mi chiedeva accoratamente di intervenire in Italia perché la scuola italiana, ancora efficiente, non diventasse come quella anglosassone, che sfornava ignoranti. All’epoca (1970) ero comunista e non lo capivo. Oggi non so se la scuola sia anglosassone, ma di certo è un casino. L’abbiamo distrutta. Con questo parlamento, con questi magnaccia, inetti, confusi e partigiani delle poltrone, la scuola continuerà a fallire e a sfornare ignoranti.Se poi al Manzoni facciamo leggere i libri porno di cui al Gender, portiamo la scuola sempre di più nel baratro. La soluzione è politica e e per risolverla occorre distruggere il PD, ormai il fantasma di una Sinistra che fu, e ripartire con nuove proposte politiche e con leggi draconiane.
D’accordissimo!!!!
Ritengo che l’unica riforma valida sia stata la Riforma Gentile. La sinistra non ha avuto pace finché non l’ha distrutta, e qualche torto ce l’ha anche la DC.
Ora è troppo tardi, non perché la riforma di Renzi non abbia qualche buono spunto come dare più potere al preside e non premiare a pioggia (tant’è vero che non piace alla base) ma perché il corpo insegnante è nel complesso disperatamente ignorante. Inoltre se gli insegnanti (che sono il bacino elettorale della sinistra) dovessero abbandonare Renzi, non voteranno certo come noi vorremmo, ma ancor più a sinistra.
Si guarda la scuola sempre dal punto di vista degli insegnanti. Mi piacerebbe leggere anche il punto di vista degli studenti che, in fin dei conti, dovrebbero essere I primi beneficiari.
Giusta osservazione, ma gli studenti dovrebbero avere un certo grado di consapevolezza che è difficile riscontrare al di sotto dei 18 anni (a volte anche al di sopra…). Per esempio, che cosa proporresti tu per migliorare la scuola?
Io sono un insegnante precario di lettere nella secondaria e vedo che gli alunni sono proprio disorientati: fanno tutto ciò che viene loro in mente di fare, senza capire minimamente che, in certi contesti (come un’aula scolastica), non si può fare come si vuole.
Lo svilimento dei contenuti, lamentato nell’articolo, è dovuto anche alla moda di una certa pedagogia, ispirata a John Dewey, per la quale bisogna puntare tutto sul metodo didattico e trasformare l’insegnante in un semplice “agevolatore” (sic!) delle conoscenze, che devono essere “costruite” dagli alunni raggruppati in “Knowledge Building Communities” (Comunità di Costruzione della Conoscenza). Questo è ciò che ci chiede l’Europa…
Convengo con Lei nell’attribuire a quel tipo di pedagogia grossa responsabilità nella crisi del modello educativo nel nostro Paese. Lo svilimento dei contenuti e lo snaturamento della funzione docente ne sono il portato evidente.
Se penso che gli insegnanti potranni essere giudicati dagli alunni,sempre più insolenti e sfacciati, ringrazio
Dio di essere in pensione dalla scuola….
Mi piace ritornare da incompetente sull’argomento. Sapendo che l’uomo è imperfetto, non sono d’accordo col dare dei poteri eccessivi ai presidi, in quanto potrebbero creare ingiustizie, favoritismi comprensibili, ricatti… Non credo che un preside possa cambiare i programmi per renderli più efficienti. All’epoca ero comunista e non credente, ma iscrissi mia figlia al liceo linguistico presso i Salesiani di Macerata, noto per la sua efficienza e con docenti all’altezza della formazione scolastica. Pagavo la retta, quando avrei potuto “risparmiare” mandando mia figlia in una scuola pubblica. Non so se la riforma Renzi contempla un aiuto alle scuole private, soprattutto cattoliche. Però, nelle scuole cattoliche e negli asili nido cattolici, i nostri bambini, adolescenti e giovani avranno una formazione etica che non può esistere altrove e saranno al di fuori delle tensioni politiche e asociali che si vivono nelle scuole pubbliche. Dico ciò soprattutto oggi che esiste il pericolo del Gender…