… più passa il tempo, meno siamo nazione, meno siamo Stato, meno siamo Patria! E per sopravvivere, più che nello stellone, confidiamo in Dio…
di Giovanni Lugaresi
.
Alcune centinaia di delinquenti travisati e armati ridotti al rango di “quattro teppistelli”; strade di una città (Milano) scenario di violenze sulle cose, di incendi di cose; un ministro dell’interno che alla fine di tutto commenta: poteva andare peggio. Poteva andare peggio, cioè se ci fosse scappato il morto? Tralasciamo una nota sui magistrati chiamati a valutare e giudicare i protagonisti di quell’evento, per non incorrere in qualche… imprevisto.
Ecco, questa è la realtà di un paese che non è più nazione, stato, con la “ciliegina” di un coro di bambini che cantando l’Inno di Mameli, inno nazionale, dice “siam pronti alla vita”, e non più “alla morte”.
Ora, che sociologi, commentatori, politici, esperti e superesperti dicano quel che vogliono, ma tutto questo vi appare “normale”?
Soffermiamoci un attimo sull’Inno di Mameli. Prima della Repubblica, si sa, c’era la Marcia Reale. Con l’avvento della Repubblica, ecco l’adozione come “nazionale” di quell’inno famoso, autore del quale era stato un patriota del Risorgimento che per la Patria era morto, perché per la Patria si moriva, e si può (ancora) morire. Veniva spiegato proprio a noi scolari dell’Italia democratica, repubblicana, con quella tale Costituzione nata dalla Resistenza!!!
Questo inno nazionale può piacere o non piacere, e a noi non piace; avremmo preferito il pucciniano Inno a Roma o le note e le parole del coro del Nabucco di Verdi, ma tant’è. Piaccia o no, fino a quando questo, di Mameli, è l’Inno nazionale, va rispettato e le sue parole devono restare tali, in attesa che qualche testa illuminata, proponga un altro canto e chi di dovere provveda a sua volta alla sostituzione. Intanto, all’Expo, il coro dei bambini avrebbe potuto cantare altro, e di motivi belli e inneggianti alla vita ce ne sono. Per inciso: nel film “Il compagno don Camillo” tratto da Guareschi, la delegazione dei compagni italiani capeggiata da Peppone in Urss viene accolta da un coro di bambini che intona il famoso “Volare” di Modugno…
Anche la trovata di far cantare l’inno nazionale cambiando (ingenuamente?) una parola importante, ci dice che siamo veramente il paese di Pulcinella, e non siamo nazione.
E torniamo ai fattacci di pochi giorni fa. Si consentono manifestazioni di protesta ben consapevoli della piega che potrebbero prendere, perché l’esperienza dovrebbe insegnare, e non si adottano le misure del caso, lasciando mano libera ai delinquenti di incendiare, distruggere, fare insomma quel che si erano proposti. Si minimizza poi l’accaduto, alla faccia di coloro che hanno subito le violenze, perché, già, poteva andare peggio, non ci è scappato il morto!…
Non siamo una nazione, non siamo uno stato, meno che mai una Patria. E ci sovviene il vecchio maestro Giuseppe Prezzolini, inzuppato di pessimismo, che in gioventù si era battuto per l’unità d’Italia, era appartenuto a quella schiera di (per usare una appropriata definizione di Renzo De Felice) “interventisti intervenuti”, il quale vedendo come si era finiti, in uno scritto degli anni Settanta aveva espresso dubbi su quella scelta. Era stato opportuno distruggere l’Impero austro-ungarico? E provocatoriamente aveva proposto per la Penisola un ritorno agli staterelli preunitari.
A nostra volta, giovani pieni di ideali, avevamo criticato il vecchio maestro e amico ritenendo eccessivo il suo pessimismo…
Ma più passa il tempo, più ci rendiamo conto che qualche ragion d’essere ce l’aveva, quel pessimismo.
La classe politica che ci governa fa pena, per non dire che fa schifo. E la politica per lorsignori pare essere diventata un mestiere, una professione, e non quel servizio reso alla comunità nazionale, come si asserisce spesso con toni retorici. Tanto è vero, fra l’altro, che una volta scaduto il mandato (a tutti i livelli: dalle amministrazioni locali alle Camere), tanti non riconfermati dal voto popolare, non è che tornino a fare il loro mestiere, ma vengono riciclati: una sinecura, una prebenda, infatti, per lorsignori si trovano sempre.
Del danaro pubblico fanno non strame, ma spreco, dovunque e comunque, capaci soltanto di parole, sordi alle voci di cittadini vessati, derubati, rapinati con tasse e balzelli sempre più onerosi, cittadini considerati sudditi, perché questo stato repubblicano (e democratico, s’intende!), attraverso la sua classe dirigente manifesta un concetto particolare del rispetto del cittadino, cioè il non tenerlo in alcun conto. Per non parlare della burocrazia, dei carrozzoni del parastato, parassitari e che nei massimi livelli percepiscono emolumenti inversamente proporzionali alla loro efficienza.
A questo punto, allora, ben venga una “monarchia assoluta temperata dal regicidio”, secondo la tutt’altro che peregrina battuta di Burke!
Diciamo di più, perché al pessimismo in questa povera Italia non c’è limite, chiedendoci: se non avesse avuto ragione Klemens von Metternich quando definì l’Italia “un’espressione geografica”.
Sì, perché più passa il tempo, meno siamo nazione, meno siamo Stato, meno, siamo Patria! E per sopravvivere, più che nello stellone, confidiamo in Dio…
In mezzo a questo schifo non mancano peraltro esempi di dignità, di nobiltà. La figura del notaio Giuseppe Parazzini, alpino e già presidente nazionale dell’Ana, che espone il tricolore al balcone del suo studio notarile milanese sfidando l’idiozia della teppaglia e il lancio di uova… senza fare una piega. E’ la dignità, ci piace ricordare di decine e decine di migliaia di Penne Nere in congedo che il sentimento della Patria, il senso della nazione ce l’hanno e lo vivono, lo dimostrano, come avverrà dal 15 al 17 maggio prossimi nell’adunata nazionale dell’Aquila, capoluogo di quell’Abruzzo sei anni fa devastato dal terremoto.
Laggiù gli Alpini in congedo accorsero per soccorrere e per dare una mano nella ricostruzione: 8.500 volontari impegnati per nove mesi. E alla fine, a Fossa, trentatrè case per sfollati e una chiesa costruite con quelle mani callose alle quali peraltro, quando arrivano offerte, non resta appiccicato nemmeno un centesimo, perché tutto va a beneficio di un prossimo bisognoso.
All’Aquila sfileranno domenica 17 all’insegna di un motto che dice tutto di loro, e che dovrebbe dire tanto ai signori politici, ai signori burocrati, a tutti gli italiani: “ALPINI: il ricordo, la ricostruzione e il dovere”.
6 commenti su “Italia kaputt… o quasi – di Giovanni Lugaresi”
Analisi perfetta purtroppo!
GRAZIE!
Sono totalmente d’accordo con questa analisi perché non mi sembra affatto che la nostra unità nazionale, propugnata solo da un gruppo di intellettuali, sia servita a migliorarci in senso civile, morale, spirituale. Ma mi sembra anche che questo avvenga un po’ dappertutto e non che questo mi consoli, naturalmente, anzi mi deprime vieppiù perché il mal comune non deve essere mai un mezzo gaudio. L’eredità del nefasto periodo sessantottino, non solo non si riesce a cancellare, ma genera continuamente nuovi mostri. La maleducazione e l’incultura regnano sovrane e lo si vede quotidianamente sui giornali, in TV, perfino nelle strade. I fatti di Milano mi hanno profondamente addolorata e, come romana, sono preoccupata per il prossimo Giubileo perché non ho alcuna fiducia nella nostra classe politica. Che Dio ci assista!
Questi professionisti della devastazione, violenti per natura, se proprio vogliono menare le mani,non possono
andare in Siria? Farebbe bene anche a noi…Invece che sbatterli in galera, non si potrebbe condannarli
al servizio sociale presso una casa di riposo od una struttura per handicappati, fisici e mentali?
Mi consta che i nostri giudici non hanno invece convalidato il fermo di alcuni trovati in possesso di materiale “adeguato” prima della manifestazione e poi rilasciati gli altri francesi arrestati a Genova perché loro hanno dichiarato di NON essere stati a Milano!
Sperando che non si dica: “Ciò l’hai già detto”
Noi abbiamo confuso tragicamente la democrazia con Governo equo e, soprattutto, di giustizia.
Il termine democrazia, giustifica tutto ed il contrario di tutto, perché legge del numero é finalisticamente neutra e, quindi, amorale.
E’ sotto i nostri occhi: insegnare ai nostri figli e nipoti che tutto il porcile che può nascere dall’interpretazione depravata del sesso é civile, se raggiunge, il 50%+1 del consseso votante, é giusto e chi non lo sostiene é un tirannofilo, peggio: un razzista e come tale verrà giudicato.
Una magistratura (che peggiore di così si dà), non dà nessuna cetezza al diritto e alle pene, che porta con la strumentale decadenza dei termini, alla scarcerazione di assassini, mafiosi con orridi omicidi sulle spalle e condanna a una sproporzionata pena pecuniaria un povero vecchio quasi demente, che ha rubato una salciccia!
Gli Alpini a L’Aquila dove loscempio dei maneggioni é conclamato é un’oltraggio agli Alpini!
Cosa volete aspettarvi da uno stato che per i fatti di Genova (G7) ha condannato i poliziotti invece che i deliquenti!