Un libro, tanto interessante quanto inquietante. È urgente una nuova “pastorale della verità” ci lascia detto Mario Palmaro.
di Marisa Orecchia
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Nel messaggio per la GMG 2015, tappa dell’incontro che avrà luogo a Cracovia il prossimo anno, Papa Francesco esorta i giovani ad andare controcorrente proponendo una delle beatitudini del Discorso della Montagna “Beati i puri di cuori”. Un messaggio chiaro che parla di amore e sessualità e che invita a riscoprire la purezza quale strada per la beatitudine, la felicità.
Finalmente.
Questi temi, assai cari a san Giovanni Paolo II che li aveva lungamente illustrati in udienze, con indimenticabili interventi e documenti e che li aveva consegnati alla Chiesa con la sua luminosa Teologia del corpo perche ne facesse uso con una Pastorale rivolta soprattutto alle giovani generazioni, sono perlopiù rimasti lettera morta, ignorati e dimenticati, senza giungere a innervare e rivitalizzare la catechesi per ragazzi, giovani, coppie di fidanzati e di sposi.
Speriamo quindi che, riproposti da Francesco, siano recepiti con la solita entusiastica, incondizionata adesione con cui ogni suo gesto e pronunciamento viene accolto e che riescano magari a ricadere, a colare, a filtrare nelle nervature di una Chiesa che in campo educativo è da decenni irrilevante, inadeguata, praticamente assente. Una Chiesa che ha permesso che sia il mondo ad educare i giovani, con le sue ideologie, le sue sirene.
Neppure i Progetti Culturali che pure hanno evidenziato l’emergenza educativa quale sfida cui la Chiesa è chiamata a far fronte in questi anni e che hanno denunciato i grandi mali del nostro tempo quali il relativismo, il naturalismo, il nichilismo, sono arrivati a mettere il dito nella piaga e a recepire che in educazione non si educa a metà, ma si educa tutto l’uomo, nella sua pienezza, nella sua ontologia. E l’uomo è sessuato. La sessualità non è un accessorio, ma una realtà che attraversa e connota la persona a livello biologico, psichico e intellettuale, spirituale, nella sua totalità. E’un immenso dono di Dio all’uomo, creato sessuato per assaporare la pienezza dell’amore e realizzarsi mediante il dono di sé. Per realizzarsi nella relazione.
Perdere questa bussola, abbandonare la sessualità alle valutazioni che dal mondo vengono e la considerano solo un mezzo per cercare il piacere, riducendola ad un semplice esercizio della genitalità, significa perdere non solo una parte dell’uomo, ma tutto l’uomo. Abbandonarlo ai deliri dell’omosessualismo e alla secolarizzazione. L’apostasia dall’uomo è infine l’apostasia da Cristo.
A partire dagli anni 60, infatti abbiamo assistito al delinearsi all’interno della Chiesa di una frattura tra l’impegno verso i poveri, gli emarginati, i cosiddetti ultimi, l’impegno sociale, insomma, che viene proposto come assolutamente prioritario e quasi esclusivo, e l’impegno educativo per una morale sessuale, da molti definito moralistico e non più in linea con i tempi. In certi laboratori, certe scuole post conciliari, una parte della Chiesa, indubbiamente minoritaria, ma molto ascoltata, traccia linee pastorali sotto le quali non è difficile scorgere influenze del tempo, marxismo ed evoluzionismo perlopiù. Per essa l’impegno che caratterizza il credente è quello per la giustizia sociale. In secondo piano, tutto il resto.
Così, mentre da un lato cadevano le barriere che fino ad allora in campo educativo avevano separato i maschi dalle femmine, nelle scuole, nei gruppi parrocchiali e in ogni altra attività, e dall’altro incalzavano la modernità e il ’68 con i suoi furori alla Reich e Marcuse – almeno un orgasmo al giorno per ogni giornio – la Chiesa smetteva di parlare di purezza, di castità, di rinuncia ai rapporti prematrimoniali. E dimenticava che tutto si tiene. Come scrive l’anonimo della lettera a Diogneto nel tracciarne l’identikit: “i cristiani mettono a disposizione le mense, ma non le donne”, dividono la tavola, ma non il letto, coniugando l’impegno nel sociale con il rigore nel comportamento sessuale. Non l’uno o l’altro, ma l’uno e l’altro.
Perdere un pezzo infatti rovina l’intero edificio: lasciar cadere l’impegno per la morale sessuale sotto l’incalzare delle idee della rivoluzione del ‘68, veicolate ed esaltate da tutto il sistema mediatico, proponendo sempre e soltanto l’impegno solidaristico, l’attenzione agli ultimi, ha contribuito a portarci alla situazione attuale.
Quanto sia grave lo denuncia il libro “Figli di un’etica minore”, a cura di Mario Palmaro e Tommaso Scandroglio, pubblicato per iniziativa del Comitato Verità e Vita, su incoraggiamento dello stesso Palmaro che ne era il presidente, nei suoi ultimi giorni prima della morte.
Il libro nasce da un’indagine svolta nella provincia di Novara su un cospicuo numero di ragazzi e di giovani, interrogati su temi eticamente sensibili quali l’aborto, la contraccezione, i rapporti prematrimoniali, la convivenza, i rapporti omosessuali, il matrimonio, l’eutanasia, la droga, l’amicizia. La situazione che emerge dai dati raccolti, elaborati dalla Fondazione ESAE di Milano, è a dir poco gravemente preoccupante. Quadro sconfortante, debacle desolante, catastrofe educativa sono termini ricorrenti nel libro per descrivere la caduta complessiva di tutti quei punti fermi che fino a qualche decennio fa erano patrimonio condiviso e comune. L’aborto per un’alta percentuale degli intervistati è lecito se il bambino non è voluto, usare contraccettivi, avere rapporti omosessuali no problem, staccare la spina al nonno, perché no, se soffre? Il matrimonio va bene solo finche c’è l’amore e via dicendo. Nel suo intervento, che indaga le risposte al questionario nell’ottica della bioetica come “ indicatore di civiltà” Palmaro fa un’annotazione acuta che rende ancor più evidente la gravità del quadro: siccome i questionari somministrati ai giovani non chiedono loro di descrivere ciò che fanno, ma di affermare se una certa condotta è o non è moralmente accettabile, di formulare cioè un giudizio morale, risulta dalle risposte che moltissimi giovani, pur non essendo necessariamente incorsi nella condotta indagata, la giustificano, scambiando con estrema convinzione il bene con il male. E’ caduta la distinzione tra il bene e il male, e con essa i capisaldi dell’etica, dell’ortodossia e di conseguenza dell’ortoprassi.
Ma c’è, nell’indagine in questione, un fattore ancora più doloroso. Il questionario prende in esame anche l’orientamento religioso degli interrogati e mostra con tutta evidenza uno scarto minimo, quando non addirittura inconsistente, tra le risposte di chi si dice credente praticante e chi si dice ateo, agnostico, non interessato alla religione.
Si evidenzia cioè un clamoroso scollamento tra quanto il Magistero ha sempre affermato e insegnato in tema di morale sessuale e di bioetica, e che nel catechismo della Chiesa Cattolica è illustrato con chiarezza, e quanto viene proposto ai giovani e ai ragazzi che ancora frequentano la parrocchia. Purtroppo può capitare che siano solo l’ecologismo, il terzomondismo, il solidarismo, l’accoglienza, l’attenzione agli ultimi e alle periferie, i temi preferiti su cui si lavora, mentre la sana dottrina è trascurata per la paura di non essere in linea con i tempi, di essere giudicati troppo rigidi, per il desiderio di “non innalzare muri”, per “cercare quello che unisce”.
E’ questa l’accorata denuncia che contengono i due rispettivi saggi di Palmaro e Scandroglio, che, assieme a quelli di Berzano, Viarengo, Puccetti e Tripoli, compongono questo libro, tanto interessante quanto inquietante. È urgente una nuova “pastorale della verità” ci lascia detto Mario Palmaro.