La Santa Messa in cui al centro c’è Nostro Signore Gesù Cristo. E poi ricordiamo Don Lolli, Don Dolindo, Guareschi e … e altri tesori di una spiritualità cattolica da ritrovare
di Giovanni Lugaresi
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C’è in area ravennate (et ultra) un aureo libretto che monsignor Giovanni Zalambani, quale direttore dell’Opera Santa Teresa del Bambino Gesù, mise insieme con testi – piccole riflessioni, del suo predecessore: don Angelo Lolli, per il quale è in atto il processo canonico. Un uomo, un prete, don Lolli, già in vita in fama di santità, è ora avviato lungo il cammino delle procedure che lo porterà alla gloria degli altari.
Ebbene, in questo aureo libretto, pubblicato nel 1987, giorno per giorno ci imbattiamo in un pensiero, una riflessione, che il santo prete fondatore di quella cittadella della carità posta nel cuore di Ravenna, andava scrivendo per sé e per la sua comunità.
Ma quando i pensieri sono alti, dettati da grande fede e profonda spiritualità, sono destinati a varcare i confini di una istituzione e porsi quale lettura proficua per chi voglia essere (ancora) cristiano “doc”, cioè non secondo i propri comodi, come andrebbe oggi tanto di moda, ma secondo l’insegnamento di Nostro Signore.
Don Lolli, per chi non lo ricordasse, fondò nel 1911 una struttura e una comunità religiosa che si preoccupavano dei vecchi soli, malati cronici, abbandonati da tutti, e in una Ravenna, Romagna, Italia, fortemente anticlericali, dimostrava che laddove non arrivava uno stato laico e laicista, spesso con venature massoniche, arrivava la mano caritatevole della Chiesa, come sempre, del resto, nei secoli, ad occuparsi degli ultimi.
Ma torniamo a quell’aurea libretto che giorno dopo giorno, 365 volte l’anno, leggiamo regolarmente, nella speranza che qualcosa di quella spiritualità lolliana si imprima nella nostra anima.
Ecco i primi pensieri del nuovo anno che ci hanno colpito in modo particolare:
“Proviamoci in quest’oggi a praticare la virtù dei Santi, che consiste nel dimenticare se stessi”;
“Se non siamo ancora capaci di desiderare di soffrire, accettiamo almeno volentieri quelle croci che oggi Dio ci manderà”!…
Ecco: dimenticare se stessi, soffrire, portare la croce… Sono tre condizioni che il mondo d’oggi ignora. Di più! Che parte della Chiesa Cattolica, nei suoi figli, pare volere relegare fra i ricordi di una realtà sorpassata, non al passo coi tempi e – aggiungiamo noi – al passo invece con le mode e i nuovi idoli ai quali si bruciano incensi, mentre Nostro Signore, “nel Santissimo Sacramento dell’altare presente in corpo, anima e divinità”, è stato relegato in angoli oscuri di chiese spoglie, quasi indesiderato, o dimenticato, ospite… Così la sorte di tanti tabernacoli.
A questi pensieri di don Lolli, in questi primi giorni del nuovo anno, se ne è presentato alla nostra mente, affiorando dal profondo del cuore, un terzo – firmato Giovannino Guareschi.
Sfogliamo i suoi libri vi troviamo di quando in quando appunti e spunti per riflessioni di fede. La pagina su Lino Maupas, un francescano di origine dalmate che operò nella Parma turbolenta del pre e del primo fascismo, in favore dei poveri, delle famiglie dei carcerati, dei carcerati stessi, anch’egli in fama di santità già in vita, appare illuminante.
E’ presa tutta da lui la figura del “frate cercone”che in un racconto del Mondo Piccolo Guareschi tratteggia, fa parlare, poi dileguarsi, quasi una magica, prodigiosa apparizione.
A un rimprovero di Peppone (cui si è rivolto nella questua quotidiana), che gli ha detto di andare a lavorare perché così si può vivere anche meglio, il fraticello risponde con parole oggi incomprensibili a un clero, e pure a religiosi che hanno sostituito le due P (come noi le chiamiamo) con le due V (come sempre noi le indichiamo): cioè Preghiera Penitenza, Vanità Venalità!
Il “frate cercone” replica: “Noi non cerchiamo di trovarci meglio, cerchiamo di trovarci peggio”.
“Affari vostri!” borbottò Peppone.
Il fraticello era timido e umile (avverte l’autore):
“Non sono affari nostri: il convento non ha niente e ogni giorno gente che ha fame viene a bussare alle porte del convento. Noi chiediamo il superfluo per poter fornire il necessario a chi soffre”… I francescani dell’Immacolata – sia detto per inciso – la stanno pagando cara proprio perché volevano stare peggio…
Ma questi pensieri, queste parole, ci riportano a frequenti considerazioni, suscitate in chi non ha portato ancora il cervello all’ammasso del cattomodernismo…
Esperienza di anni nella Marca Trevigiana: abbiamo assistito e continuiamo ad assistere (salvo eccezioni) a liturgie che di cattolico hanno ben poco.
Sappiamo bene le differenze fra la messa-comunione della Chiesa Cattolica e quella del Protestantesimo nelle sue varie articolazioni. Per noi, al centro della celebrazione liturgica c’è Lui, Nostro Signore Gesù Cristo; la sua non è una presenza virtuale, bensì reale, e sotto le specie del pane e del vino, ecco il corpo e il sangue di Nostro Signore. La transustanziazione avviene mediante una formuletta che il celebrante (rinnova in persona Christi il sacrificio – incruento – della Croce) pronuncia sull’altare piegato il più possibile, la grande ostia (e poi il calice) fra le mani.
Un momento che dovrebbe vedere tutti rivolti all’altare ad ascoltare quella tal “formuletta”.
Un tempo, col vetus ordo, che cosa accadeva?
Anche il più distratto, il più peccatore dei preti, non ometteva di piegare le ginocchia, di pronunciare con voce velata (come si conveniva al compiersi del grande mistero) ”… Hoc, est enim, Corpus meum…” In seguito: “Simili modo postquam coenatum est, accipiens et hunc praeclarum calicem in sanctas ac venerabiles manus suas; item, tibi gratias agens benedixit, deditque discipulis suis dicens: Accipite et bibite ex eo omnes. Hic est enim Calix Sanguinis mei, novi et aeterni testamenti: mysterium fidei, qui pro vobis et pro multis effundetur, in remissionem peccatorum…” eccetera.
La formula latina del vetus ordo non lasciava spazio a mutamenti, commenti, osservazioni, fervorini. Nella sua sobrietà di accenti, era (è e resta) l’essenziale grandioso, incommensurabile, di quel mistero!…
E oggi, in quelle tali liturgie cui si faceva riferimento?
La formula della transustanziazione (che, toccasse a chi scrive pronunciarla, farebbe tremare le vene dei polsi) appare come la lettura spesso frettolosa di un qualcosa di dato per scontato; chessò: la recita di una poesia, di una filastrocca, di un qualsiasi autore profano.
Ma il senso del sacro? Il senso del mistero? Il senso del miracolo che avviene in quella circostanza?!
Possibile che quel che tantissimi laici percepiscono non venga avvertito da non pochi preti?…
Adesso confondiamo anche noi un po’ di sacro con il profano, per così dire.
Avvertì deciso una volta Giacomo Matteotti, il deputato dell’opposizione ucciso da una squadraccia fascista:
“I comunisti coi comunisti, i socialisti coi socialisti!”.
Ecco, potremmo mutuare da Matteotti quell’espressione e così cambiarla: “I cattolici coi cattolici, i protestanti coi protestanti”! Fermo restando che noi per i “fratelli separati” continueremo a pregare affinché un giorno il movimento ecumenico arrivi al traguardo: quello di un solo gregge sotto uno stesso pastore, che è poi il Papa – prima di tutto Papa della Chiesa universale, e poi (dopo) Vescovo di Roma!
Qualche altro pensiero di questo cattolico malpensante, che non ha mutuato l’espressione andreottiana, per cui a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca, bensì dai “pensieri” di Domenico Giuliotti.
Tanti canti in chiesa è dato ascoltare, e non pochi decisamente brutti – non a caso il maestro Riccardo Muti ha più volte parlato (e scritto) di “canzonette”. Ebbene, abbiamo notato che nelle parole, mentre ricorre la parola “libertà”, non ne troveremo un’altra che a noi appare importantissima: verità!
Infine, ci fu un tempo in cui sia in famiglia, sia in parrocchia, di fronte al dolore, alle sofferenze, si veniva esortati ad offrire: “Signore ti offro le sofferenze, i dolori, in sconto dei miei peccati, per il bene della Chiesa, per la conversione dei peccatori”. Qualche genitore saggio e dalla fede semplice, ma cristallina, chiosava: “è meglio “purgare di qua che non dopo, quando si è morti”.
Sempre in quel tempo si veniva esortati a fare una visita in chiesa a Gesù, “nel Santissimo Sacramento dell’altare”.
Oggi? Con tante chiese di città e di campagna che non sai a che ora aprano e a quale chiudano? E se nei giorni feriali vi venga celebrata una messa? Perché se non manca mai, bene esposto il cartello coi numeri della lotteria parrocchiale, manca l’orario delle messe!!!…
Non ci resta, allora, nel chiuso delle nostre case, che ripetere con padre Dolindo: “Gesù è nostro amico nel Santo Tabernacolo, e la visita al Sacramento è la Santa Comunione di questa amicizia. Quando voi entrate nella chiesa per visitare Gesù, e la lampada fioca vi dice dove Egli si trova, sentite nel cuore un santo raccoglimento ed una pace arcana; vi pare di essere quasi estranei al mondo che si muove di fuori. Voi parlate a Gesù, Egli parla a voi intimamente, e quella visita costituisce lo sfogo santo e soave di un reciproco amore. Si capisce bene che visitare Gesù non significa andare a curiosare in chiesa, né significa sentire in un momento la soavità della sua amicizia. Appena voi andate a Lui Egli vi guarda, vi benedice, e poco per volta comincia ad orientarvi, dirò così, verso di lui”.
Ma quanti preti conoscono la spiritualità di don Dolindo, e di altri santi uomini di Chiesa?
7 commenti su “Pensieri di Capodanno di un cattolico malpensante – di Giovanni Lugaresi”
Don Dolindo una volta entrò in una chiesa di Napoli, facendo un inchino affrettato verso il Tabernacolo. “Ma è lui?” – si chiese Padre Cuomo. Poi lo trovò in sacrestia, prostrato davanti a un armadio chiuso. Il Santissimo era stato spostato lì per restauri alla parete! Ma nessuno lo aveva detto a Don Ruotolo!!!!
Spero che un amore così viva anche oggi, in qualche angolo sperduto della Santa Chiesa di Dio!
Bruno
Un problema ancor piu’ grave del non conoscere la spiritualita’ di Don Dolindo e’ il fatto che molti preti non VOGLIONO essere un Don Dolindo. Né forse lo possono , perché non hanno ricostituito in sé quell’ altro uomo nuovo che e’ base imprescindibile per formare il sacerdote cattolico . Senza l’uomo rinato col Battesimo , poi confermato membro della Chiesa Militante , non puo’ sorgere né quel sacro fuoco interiore né il desiderio bruciante di offrire se stessi pur di portare agli altri Cristo che e’ Via , Verita’, Vita . La vita mistica offerta dalle parole di Don Dolindo e’ fuori portata per molti sacerdoti e vescovi di oggi .
Spesso al momento della Consacrazione mi domando cosa provi il sacerdote di fronte al miracolo che si compie e come non tremi di commozione e, per così dire, di smarrimento, come accadeva in maniera impressionante a Padre Pio che in quegli attimi viveva realmente le sofferenze di Gesù sul Calvario. Non dico che ad ogni sacerdote debba accadere quello che a Padre Pio fu concesso in virtù della sua santità, ma certe volte occorrerebbe vedere una partecipazione più profonda e più sentita e poter percepire attraverso il sacerdote che celebra almeno un po’ del celestiale avvenimento in cui fra gli angeli, la Madonna e i Santi Gesù si fa presente in mezzo a noi in corpo, anima e divinità . Terminata la messa, poi, neanche dieci minuti di raccoglimento per il fedele che voglia ringraziare, ma di corsa ci si affretta a spegnere le luci e certe volte a chiudere le porte della chiesa. Tant’è che per recitare il rosario per la preghiera di riparazione abbiamo dovuto chiedere di pazientare, per favore, almeno un quarto d’ora
Verissimo! Aggiungo che mi dà fastidio il fatto che tra la comunione e la benedizione finale i sacerdoti inseriscano inutili comunicazioni, rompendo quello che dovrebbe essere un sacro silenzio. Nessuno spazio per il raccoglimento, un po’ di notizie su gite e riunioni parrocchiali e via. Una volta il celebrante si è addirittura dimenticato di dire “La Messa è finita ecc.” Per grazia di Dio, questo non avviene nei riti in latino, ma purtroppo non si riesce a frequentarli sempre.
Arrivato ormai alla soglia dei 70 anni, mai avrei pensato che per difendere la mia fede cattolica avrei dovuto dichiararmi anticlercale, andare contro quello che dicono preti, vescovi e lo stesso attuale papa (che tale poi non si dichiara). Da giovane mi dichiaravo apertamente anticomunista, contro l’estremismo rosso; erano gli anni di Potere Operaio, di Lotta Continua, e, all’università, mi deridevano perché credevo nella Transustansazione, nella Presenza Reale. Oggi, invece, devo andare contro coloro che un tempo amavo, ma perché? sono cambiato io o sono cambiati loro, i preti, i vescovi, il papa? Purtroppo mi tocca propendere per la seconda ipotesi: sono cambiati loro, e molto anche. Il fumo satanico dell’aggiornamento li ha accecati, facendoli diventare arroganti, superbi, intolleranti, e, quel che è peggio, ingannatori dei fedeli, delle pecore. Hanno ribaltato la retta dottrina, trasformato i nemici in amici, eliminato il senso del peccato, chiamando bene il male, e viceversa, e vogliono imporre a tutti, con le buone o con le cattive, queste loro follie !
Non so se i Francescani dell’Immacolata sono perseguitati perchè volevano il peggio per se, probabilmente si, ma c’è anche la possibilità che al peggio per se non avessero associato anche il meglio per Dio, perchè se lo avessero fatto fino in fondo avrebbero preferito essere scomunicati piuttosto che perdere anche un solo iota della buona dottrina e non avrebbero certo accettato di arrendersi ad officiare una messa dallo spirito non cattolico, ma avrebbero continuato, anche a costo del martirio fisico, a dire la Messa voluta da Dio e trasmessa nei secoli dagli apostoli fino a noi, che onora Dio nel modo dovuto. Certo ci vuole un coraggio soprannaturale, ma se c’è riuscito mons Lefebvre, con la grazia di Dio potevano riusirci anche loro, se disposti veramente a perdere tutto per guadagnare tutto, ma forse non tutti erano disposti a perdere tutto per onore di Dio.
Che meraviglia ! Grazie.
I Francescani dell’Immacolata stanno già soffrendo tanto. Preghiamo per loro, perché la Verità che è prerogativa assoluta di Gesù, trionfi presto, secondo la Sua Volontà. Così sia.