di Piero Laporta
fonte: ItaliaOggi (gruppo Class)
Alcuni giorni fa Mario Borghezio, parlamentare europeo della Lega Nord, è stato picchiato mentre tentava di entrare nell’albergo dove si teneva la riunione segreta del Gruppo Bilderberg. Non si registrano notizie né di inchieste della magistratura italiana né fermenti a Bruxelles. Alla riunione del gruppo Bilderberg pare abbiano partecipato anche eminenti italiani. In queste ore, a proposito del lobbysta Luigi Bisignani, si evoca una P4 e la violazione della legge Anselmi sulle società segrete. Il potpourri maleodorante di massonerie, associazioni segrete di vario stampo e governi di «unità nazionale» fu messo in tavola immediatamente dopo il rapimento di Aldo Moro. Da allora i camerieri di turno sanno perfettamente quando servirlo nei passaggi cruciali della vita democratica: elezioni politiche ed elezione del presidente della repubblica, oppure alle viste d’una catastrofica speculazione sui risparmi degli italiani, senza escludere la somma di tali situazioni.
Un po’ di storia per gli smemorati. La designazione del presidente della repubblica fu agevole finché le quattro ambasciate dei paesi vincitori della Seconda guerra (Usa, Gran Bretagna, Francia e Urss) ebbero equilibrati referenti nei partiti, nei salotti finanziari e nell’industria pesante, privata e di stato. Il lavorìo cominciava un paio di anni prima della fine d’un mandato. Trovato un compromesso accettabile, il designato di turno materializzava la collocazione del baricentro nei rapporti di forza fra i Quattro e il livello del servaggio italiano. Tutti i partiti stavano al tavolo, dal Pci al Msi, con tutte le sfumature intermedie e le relative prebende più o meno lecite, più o meno tangentizie. Il controllo della presidenza della repubblica apriva (e in una certa misura apre ancora) altre camere di regia: magistratura e servizi segreti, forze armate e di polizia, corte costituzionale, governo, ecc. Anche la Rai e i principali giornali passavano attraverso questi vagli. Finché tale equilibrio durò l’accesso al Colle fu regolato con sufficiente flemma, almeno apparentemente.
Cominciò a vedersela brutta Antonio Segni con le avvisaglie del centro sinistra. Molto peggio andò a Giovanni Leone – in quanto amico e sostenitore leale di Aldo Moro – mediaticamente pugnalato col concorso di tutt’e quattro le capitali vincitrici. Pochi ricordano oramai che proprio il 16 marzo 1978 – il giorno del rapimento di Moro – giunse in libreria il libro di Camilla Cederna, «Giovanni Leone la carriera di un Presidente», tardivamente condannata per calunnia e, come ricorda Giorgio Napolitano, sostenuta a spada tratta dal Pci, dal Msi, da una larghissima fascia del Psi e dal Partito radicale, con tutte le sue componenti (filo statunitense, filo britannica e filo francese), oltre che da larghi settori della Democrazia cristiana. La Dc usò coi calunniatori di Giovanni Leone prudenza analoga a quella che la chiesa cattolica montiniana riservò ai calunniatori di Pio XII.
L’elezione per acclamazione al Quirinale di Francesco Cossiga, già ministro dell’interno apparentemente incapace, s’appaiò anni più tardi all’elezione di Oscar Luigi Scalfaro, dopo le stragi siciliane, mentre incombevano Tangentopoli e l’annacquamento del 41bis. Sempre questi passaggi furono annebbiati da una quantità di massonerie o presunte tali – P2 in testa- rimaste infine lì dov’erano con le componenti essenziali, come testimoniano la longevità e la prosperità di Licio Gelli, il quale ebbe pure l’onore di omaggiare la signora Linda Giuva in D’Alema.
È prudente stare con gli occhi aperti mentre si gonfia l’affare P4, le società di rating guardano ai nostri risparmi peggio che nel 1992 e le elezioni per il Quirinale s’approssimano. Ah, dimenticavo: non risultano fascicoli aperti a carico dei ventennali partecipanti italiani alla società segreta Bilderberg.