I poetici fotogrammi di Sergio Pessot
di Piero Vassallo
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Esponente di primo piano della giovane destra, negli anni Cinquanta Sergio Pessot è stato collaboratore di Enzo Erra, di Giano Accame e di Massimo Anderson, militanti che gli hanno comunicato (contagiato) l’onerosa e ardua passione per la cultura proibita.
In seguito, nel tempo libero concessogli dalla frenetica attività di direttore commerciale di importanti aziende commerciali e dagli obblighi familiari, Pessot, ha svolto, con notevole successo di critica e di vendita, le insonni attività di scrittore e fotografo della montagna, di giornalista economico e di storico della destra italiana nel secondo dopoguerra.
Della sagace e poliedrica fatica di Pessot testimonia un’ingente bibliografia, che contempla saggi sulla flora e sulla fauna delle nostre Alpi, saggi di religione e di economia e storie dei giovani militanti nel Msi delle origini e delle loro singolari proposte culturali.
Nell’orizzonte mentale di Pessot irruppe finalmente la passione per la Divina Commedia, oggetto di una lunga e paziente frequentazione che ispirò il progetto di associare, alle più immaginifiche terzine del poema, fotogrammi selezionati dal suo ingente archivio.
Dopo un decennio di studi e faticose ricerche e letture (la lingua di Dante è lontana dall’italiano moderno, verso è che per le scuole gli editori cominciano a proporre Commedie in italiano trecentesco e testo in italiano d’oggi a fronte) Pessot ha completato la sua difficile ricerca ed ha consegnato il frutto del suo appassionato/estenuante lavoro ai titolari di Nuovi Sentieri, casa editrice attiva in Treviso, che ne ha tratto un singolare e fascinoso volume: Immagini per la Divina Commedia.
Solo in parte le fotografie raccolte nel volume in oggetto, sono state scattate per illustrare, in chiave moderna la Divina Commedia. Nelle altre immagini Pessot ha visto una simbolica e casuale rappresentazione di particolari terzine dantesche.
Le figure più avvincenti sono quelle che Pessot, cedendo alla sua inclinazione al naturalismo, propone per materializzare le immagini della natura, che Dante descrive con le parole alte di una poesia allegorica.
Alla terzina che introduce l’incontro di Dante con Paolo e Francesca, travolti dal vento infernale, in cui si è trasformata la loro passione:
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Io venni in luogo d’ogni luce muto,
che mugghia come mar fa per tempesta,
se da contrari venti è combattuto
Inf., V, 238-30,
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è associata felicemente all’immagina di una mareggiata che schiume torcendosi davanti a una nuda e deserta scogliera.
Fedele allo spirito del testo è anche l’immagine (I, XXCIII, 55, 60) che rappresenta la bolgia in cui sono radunati gli scismatici (ad esempio Maometto, squarciato da una pena analogica): una landa gelida, quasi figura dei luoghi in cui si consumerà la tragedia dell’eretico pauperista fra’ Dolcino da Novara. Un sito desolato, sul quale incombe un cielo plumbeo e quasi adirato.
Appropriata è anche l’immagine stupenda delle cicogne in sosta desolata sulle acque ghiacciate, proposta per dipingere le figure dei traditori dei congiunti, precipitati dalla giustizia dell’Altissimo nella Caina, luogo infernale, in cui il duro ghiaccio è allegoria dell’infedeltà
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livide insin là dove appare vergogna
eran l’ombre dolenti nelle ghiaccia
mettendo i denti in nota di cicogna
I, XXXII, 34-36
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Splendida e conveniente è la figura – una catena di montagne coperte da nebbia azzurrina, sotto la luce fioca di un cielo grigio e stentato – fotogramma proposta per rappresentare la leggerezza del velo, che nel Purgatorio ostacola debolmente la comprensione della verità:
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Aguzza qui, lettore, ben li occhi al vero,
che ‘l velo è ora ben tanto sottile,
certo che ‘l trapassar dentro è leggero
II, VIII, 19-21
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Fascinosa le fotografia del lupo (colto da vicino) che guarda il fotografo con espressione non amichevole. Il lupo è figura del clero infedele nel secolo di Bonifacio VIII e nel nostro secolo, infestato dall’eresia modernista e dal delirio social-buonista:
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In veste di pasto lupi rapaci
si veggion di quassù per tutti i paschi:
o difesa di Dio, perché pur giaci
III, XXII, 55-57
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La fatica di Pessot sollecita gli italiani a leggere il poema che ha fondato la loro identità e a scoprire in esse l’anticipata visione delle perpetue magagne che affliggono la Chiesa cattolica quando i preti si mettono sulla via della mondanità